Come applico l’ipoclorito di sodio sulla mia pelle senza incorrere in fastidiosi bruciori o arrossamenti?

Nonostante il Metodo Ruffini esista ormai da trent’anni e sia ben diffuso in tutta Italia e anche in molti Paesi esteri, non è una rarità ricevere domande basilari, come questa:

Come posso applicare l’ipoclorito di sodio?

Evidentemente si tratta di neofiti, utenti che sono venuti a conoscenza da poco del Metodo, non hanno avuto ancora modo di acquistare il manuale d’uso (Curarsi con la candeggina?) e si vogliono approcciare a questo trattamento per un qualche disturbo di pelle o mucose.

La preoccupazione ricorrente è che, siccome l’ipoclorito di sodio è una sostanza leggermente abrasiva, potrebbe risolvere un problema dermatologico ma crearne degli altri: arrossamenti cutanei, bruciori o addirittura abrasioni. La paura cresce se non si tratta di un disturbo della pelle ma riguarda le mucose!

Queste paure, del resto, non sono del tutto infondate: qualsiasi farmaco, disinfettante o altra sostanza può risultare utile ma anche dannosa se non si rispettano le regole. Per questo motivo non ci stancheremo mai di ripetere quanto sia importante non solo tenere il prodotto lontano dalla portata dei bambini ma anche evitare di comportarci noi stessi come bambini, cioè in maniera irresponsabile. Consigliamo sempre di seguire scrupolosamente le indicazioni del dottor Ruffini fornite nel manuale ed evitare di darsi all’improvvisazione.

Partiamo dunque dall’abc. Innanzitutto, la superficie da trattare deve essere ben asciutta. Sarebbe buona norma sciacquarla prima anche con semplice acqua per eliminare eventuali residui di sporcizia o varia natura, ma in ogni caso va poi asciugata bene.

E poi? Poi, se non è diversamente specificato dal dottor Ruffini nella scheda della patologia del manuale d’uso, si versa qualche goccia su un polpastrello e si poggia la goccia sulla parte da trattare, tamponando ma senza mai sfregare, per evitare fastidiose seppur lievi abrasioni. Il consiglio che ci sentiamo di dare è di essere particolarmente generosi nella quantità: è bene bagnare abbondantemente la parte con l’ipoclorito.

Durante questa operazione bisogna tuttavia avere l’accortezza di non fare andare gocce del liquido su abiti, perché, proprio come la candeggina, avrebbe l’effetto di sbiancare, creando aloni. Lasciare agire secondo il tempo indicato sul manuale e risciacquare anche con comune acqua corrente.

Perché non diamo qui il tempo e rimandiamo sempre al libro? Non si tratta di un capriccio ma ogni patologia o disturbo richiede tempi diversi di applicazione, da pochi secondi a un minuto o poco più. Stessa cosa vale per la titolazione dell’ipoclorito utilizzato, che varia dal 6 al 12%. Tempo e percentuale dipendono essenzialmente dalla superficie da trattare (che sia una parte del corpo o un’altra dove magari la pelle risulta più o meno spessa, di un’unghia o di una mucosa) e dall’eziologia (i virus muoiono prima anche a basse titolazioni, i batteri sono più resistenti, i funghi ancor di più). Se poi questi agenti patogeni si fanno scudo con barriere cheratiniche (come il caso dell’onicomicosi, ovvero i funghi alle unghie) servirà ipoclorito ad alta gradazione e tempi di applicazione prolungati. Anche la frequenza dei trattamenti varia da caso a caso: a volte basta una singola applicazione e altre volte anche parecchie, a distanza di uno o più giorni.

Qualcuno ha lamentato una certa secchezza della pelle, soprattutto dopo trattamenti ripetuti. Niente paura, basta applicare una crema lenitiva o una crema idratante a distanza di 15 minuti dal risciacquo.

Qualcuno, infine, si chiede:

Posso applicare cerotti o fasciature dopo il trattamento?

Il dottore Ruffini lo sconsiglia, dal momento che più si lascia la pelle libera di traspirare e rigenerarsi velocemente e prima si risolve il problema. Se tuttavia si rendesse proprio necessario perché magari si deve andare in luoghi poco igienici o particolarmente polverosi, allora fasciare pure ma solo dopo che la parte si sia del tutto asciugata.